L'ultima spedizione di Robert Scott

Robert Scott, l'esploratore più beffato dal destino è ancora una volta, 86 anni dopo la sua morte per inedia nei ghiacci dell'Antartide, vittima dell'ironia della Storia. I ghiacci alla deriva, infatti, hanno portato la sua tomba nel luogo dove avrebbe trovato la salvezza.
Ai primi del secolo, restavano ben poche zone inesplorate e tra esse primeggiavano i due Poli. La sommità dell'Artide fu conquistata il 6 aprile 1909 dall'americano Robert Peary, accompagnato dall'afroamericano Mat Henson e tre Inuit. Restava il Polo Sud, che vide nel 1911 la corsa fra il norvegese Roald Amundsen e l'inglese Scott, entrambi partiti con quattro connazionali da punti opposti e con mezzi diversi: slitte trainate da cani lo scandinavo, trattori cingolati e giumente siberiane il britannico. Vinsero i cani perché i trattori erano ancora rudimentali e le giumente scivolavano sul ghiaccio. Quando Scott, il 17 gennaio 1912 arrivò presso il Polo, scorse la bandiera norvegese che già sventolava nel baluginio dell'estate antartica. La spedizione britannica iniziò così un desolato ritorno. Morì per primo Edward Evans, per una cancrena nata da un taglio. Lo seguì Edward Oates che, avendo i piedi congelati, preferì la morte di nascosto per assideramento piuttosto che rallentare i compagni. Gli altri tre, Scott, Henry Bowers e Edward Wilson, morirono di fame e freddo nella tenda, assediati dalla tormenta che impedì loro di raggiungere il deposito viveri e combustibili più vicino, con una squadra di soccorso dotata di cani, a soli 18 km. L'ultima frase sul diario di Scott, datata 29 marzo, è un esempio di coraggio britannico: "Sembra un peccato, ma non credo di poter scrivere ancora".
 
Ora, dopo la beffa della vittoria strappata via dal destino, secondo un articolo scritto da Isling Irwin sul Daily Telegraph di Londra se ne aggiunge un'altra: la deriva dei ghiacci ha portato la tomba di Scott, Bowers e Wilson, sepolti dove morirono, verso il mare di Ross, alla velocità' di 800 metri annui. Lo afferma il dottor Ian Whillans, del Byrd Polar Research Institute dell'Ohio. La tomba ha già' percorso 56 km, arrivando e poi superando il punto della salvezza, dove sorgeva il deposito.
Fra 250 anni finirà in mare, nel frastuono degli iceberg.

Il mio nuovo kayak è un Seabird Designs Scott HV.Mi piace pensare, e forse è effettivamente così, che la casa norvegese abbia dedicato questo modello ben riuscito allo sfortunato esploratore inglese Robert Scott.

Commenti

Marco ha detto…
come puoi vedere dal mio sito www.kayaktrekking.it con lo Scott ci ho fatto il giro della Corsica e un trekking in Grecia Ionica, entrambi in solitaria. E' un gran destriero, adatto alle condizioni di mare e vento più estreme. Complimenti per la scelta!
MASSIMILIANO MISELLI ha detto…
Grazie Marco, non ho la tua esperienza ma in effetti mi sembra proprio una buona barca, stabile, veloce quanto basta, ottima con onda....me la sto godendo.
Ciao
max
Carlo Giov@gnoli ha detto…
"Robert Scott l'eroe dei ghiacci". Non nego che 6/7 mesi fa, quando ho deciso per l'acquisto dello Scott, ho pensato a lui e alla lettura, anni fa, della sua avventura antartica!! Me ne duole che al posto del suo nome abbia l'adesivo del caratteristico Seabird! ...ma lo Scott è ottimo lo stesso! Buone pagajate! Carlo Giov@gnoli
MASSIMILIANO MISELLI ha detto…
Grazie in effetti mi sento di dire che sia uno scafo riuscito. D'altronde Rob Feloy rientra nel ristretto numero di progettisti di kayak e barche al top. Trovo migliorabili i premi cosce pensati per essere usati sia a ginocchie Unite per una pagaiata migliore sia divaricate per migliorare la stabilità ma per me il mix non è venuto benissimo. Per il resto è stabilissimo ma non penalizzante nelle manovre, veloce quanto basta, molto manovrabile tra le onde e tra gli scogli, direzionale in modo sufficiente senza utilizzo di Skeg, con lo skeg abbassato è su un binario. Il mio hv ha forse per me un po' troppo bordo libero e forse lo gradirei maggiormente direzionale anche senza skeg...ma il kayak perfetto non esiste...